Rassegna Stampa
Agenzia Ansa, 3 maggio 2022
La presentazione è stata introdotta dal presidente del Consiglio regionale del Veneto, per il quale “il volume approfondisce un caso- studio per eccellenza, racconta bene come in pochi decenni si è assistito a una profonda trasformazione delle nostre terre che ha determinato la rottura, spesso traumatica, degli antichi equilibri tra uomo e ambiente e la morte della civiltà contadina, come scriveva Ferdinando Camon, premiato nel 2017 con il Leone del Veneto. Da questi profondi cambiamenti è sorta una ‘industria della terra’ che ha inferto alla nostra società ferite profonde, tutt’ora aperte, che pongono un problema concreto: è urgente trovare un nuovo equilibrio con l’ambiente e il paesaggio che ci circondano. Non si tratta di lasciarsi andare a effimere nostalgie verso un mondo che ormai non esiste più, ma di trovare una nuova strada da percorrere, partendo dagli errori commessi, rinunciando alle vecchie abitudini per adottarne di nuove e più virtuose”. “Nella sua opera – ha concluso il presidente del Consiglio - il professor Montecchio ci aiuta a ricordare da dove siamo partiti e quanta strada abbiamo faticosamente percorso, le conquiste fatte, per saper guardare al futuro con occhi diversi e più consapevoli. Siamo chiamati a recuperare gli insegnamenti delle antiche tradizioni per lasciare alle nuove generazioni un paesaggio intonso, di cui godere pienamente”.
Il professore Lucio Montecchio ha spiegato che “il libro rappresenta una sequenza cronologica di memorie raccolte all’interno della mia famiglia fino agli anni Sessanta, per raccontare come si è evoluta la visione delle nostre campagne, gran parte delle quali oggetto di bonifica grazie al lavoro e al sacrificio dei veneti che ci hanno preceduto. Questa è una pubblicazione che sa di terra, che narra la storia e le emozioni di ‘uomini di nebbia’, di persone che non hanno avuto paura di sporcarsi le mani, sospinte da un profondo desiderio di riscatto sociale”.
Ma proprio questa naturale voglia di riscatto ha determinato, secondo l’autore, “una trasformazione dei territori troppo repentina: abbiamo sposato un’agricoltura industriale, abusando di concimi di sintesi, sicuramente inodori, invisibili ed economici, ma che ci hanno allontanato dal rapporto naturale con la terra, con la stalla, con il lettamaio. Abbiamo privilegiato colture resistenti ai pesticidi. Così, sono stati amplificati i problemi legati ai cambiamenti climatici, senza riflettere sul fatto che, forse, la colpa è soprattutto nostra: abbiamo ingabbiato i fiumi dentro argini ristretti, costruendo in modo eccessivo, anche in zone a rischio idrogeologico”.
Tuttavia, il professore ha chiarito “di non voler tornare al passato, ma di fare un passo al lato, aprendo una riflessione sul futuro che coinvolga le realtà locali e, soprattutto, gli agricoltori; dobbiamo ripensare al rapporto che abbiamo con l’ambiente, senza per questo rinunciare alle moderne tecnologie”.
“Non dico che si stava meglio prima – ha ribadito l’autore – non rimpiango il passato, bensì gli uomini che lo hanno costruito, in quanto erano dotati di buonsenso. Perché proprio il buonsenso è l’unico strumento per non abusare del surplus di cui oggi siamo circondati, ma per utilizzare in modo più responsabile le risorse. Il libro ci spiega quando abbiamo iniziato ad abbandonare la strada maestra: nel momento in cui ci siamo assuefatti alla facile disponibilità quotidiana di qualsiasi prodotto, penso solo alla presenza sugli scaffali dei supermercati di fragole e ciliegie anche a Capodanno”.
Il professor Lucio Montecchio ha chiuso con un appello: “stiamo abusando del nostro territorio, ma non è troppo tardi per recuperare comportamenti virtuosi”.